Gif di Saul Goodman tratto dallo spot tv

Branding. La scelta di nome, slogan e parole chiave della tua brand identity

La scelta del nome

La scelta del nome è il punto di partenza del branding quando ci si appresta a lanciare un nuovo prodotto/servizio, mentre è nel bene o nel male un asset già acquisito nel caso si lavori per un’azienda/prodotti che sono già sul mercato. In quest’ultimo caso, a meno che non si prenda in considerazione un cambio di nome, potrete pur sempre concentrarvi sui punti successivi a questo che state leggendo dedicato al naming.

Se siete invece ancora in tempo per scegliere un nome efficace vi dico la mia su come provare a renderlo tale.

Il nome di un marchio credo abbia più possibilità di risultare originale e memorabile nei seguenti casi.

  1. Quando riesce a condensare in pochi caratteri quello che l’azienda fa o riesce a richiamare il contesto del servizio offerto.

Un esempio è Happn, l’app di dating che permette di ritrovare le persone incontrate e il cui nome richiama proprio agli incontri che “capitano” e alla serendipità. Non saprei quanto voluto sia stato il richiamo alla parola App, che comunque trattandosi appunto di un’applicazione mobile lo rende ancora più calzante.

 

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  1. Anche quando non si riuscisse ad essere accattivanti in modo stringente e originale come nel caso di Happn si può pur sempre cercare di fare in modo che il nome richiami a delle parole chiave del settore, senza necessariamente giochi di parole brillanti, ma semplicemente facendole comparire o facendole cogliere nella pronuncia del nome così da iniziare a comunicare lo scopo del vostro servizio già a partire dal nome stesso. Alcuni esempi li troviamo in servizi che la maggior parte di noi usa quotidianamente:

Just eat

Deliveroo

Foodora

Satispay

Mr Rent (forse meno noto ai più ma ben presente nelle nostre di giornate, trovandosi accanto al nostro ufficio 🙂

 

  1. Quando il nome si presta per costruirci attorno una comunicazione e una narrativa che rimandino al nome stesso e a un qualche senso, a una identità.

Quando abbiamo fondato Growth Agents, durante il brainstorming per la ricerca del nome, ho proposto dei nomi contenenti dei giochi di parole con l’intento di farli suonare familiari, come ad esempio “Let’s Grow”. Mi piaceva perché richiamava ad un espressione molto comune come “let’s go” e nello stesso tempo è un’esortazione che esprime l’obiettivo dell’agenzia, accelerare la crescita del business dei clienti grazie al Growth Hacking. Ma che brand costruire su un nome come Let’s Grow?

Emanuele, quando ha proposto “Growth Agents”, l’attuale nome della nostra agenzia, non mi ha molto emozionato, non mi convinceva. Tuttavia, proseguendo il brainstorming insieme agli altri, ho realizzato che la comunicazione che si poteva costruire su un nome come Growth Agents ci avrebbe permesso di creare un’identità con una connotazione ben definita, quella agentesca, che si prestava per essere comunicata con termini come “intelligence” (forniamo servizi di digital intelligence) e “missione”, che si sposava bene con l’approccio con il quale coinvolgiamo i nostri collaboratori, proprio come agenti ingaggiati in missioni per i nostri clienti in base alle esigenze e gli obiettivi specifici del progetto-missione.

Parole chiave

Premessa: non si tratta in questo caso delle keyword SEO, ma della terminologia da associare al nome del marchio per creare riferimenti ai tratti distintivi dell’azienda e della sua immagine, in modo da creare appunto una continuità tra marchio e comunicazione (se poi termini in questione sono anche funzionali alla SEO tanto meglio, l’importante è che questo tentativo non diventi una forzatura che snaturerebbe il processo creativo).

Un esempio di una comunicazione e immagine coordinata incentrata su una parola chiave distintiva della value proposition è quello di Fineco, che ha saputo creare non solo una campagna pubblicitaria ma proprio l’identità aziendale sul concetto di semplicità/semplificazione.

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Anche coniare parole “brandizzate” può rafforzare l’identità del brand, considerate però che essendo già molti i neologismi che si stanno diffondendo, nel caso ne trovaste di adatti alla comunicazione del vostro marchio dovrete renderli originali e simpatici per non risultare pretenziosi.

Un esempio che mi è piaciuto molto di recente è quello di Notifia.io, un tool di marketing automation che si propone di svolgere le sue funzioni “Automagically” (“Convert your Traffic into Sales Automagically!”). In questo caso hanno creato una cosiddetta “parola macedonia”, ossia una fusione di due parole, che in generale nella lingua inglese ha sicuramente più probabilità di riuscire bene che in italiano.

Un altro tipo di soluzione di branding che segue da questo criterio basato sul gioco di parole è la creazione di nomi – anche in questo caso che richiamino il marchio – da assegnare ai fruitori del servizio facendoli sentire membri di una community e non solo consumatori. Nell’ambito dei servizi digitali ci sono molti casi, faccio l’esempio di Hype perché sono un “hyper” soddisfatto. Hype, startup fintech che offre un’app per la gestione della finanza personale, chiama Hyper i propri clienti che in effetti possono beneficiare di funzioni che facilitano la vita negli scambi di denaro e condivisione di spese tra i membri della community.

Payoff

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Ce ne sono vari di criteri con cui comporre un payoff, provo a sintetizzare quelli di approccio adottabili in base alla situazione in cui vi trovate.

  1. Anzitutto impegnatevi a creare uno slogan che sia davvero distintivo, evitando di scadere nella banalità scegliendo soluzioni del tipo:
  • “svolgiamo servizi di X a 360°…;
  • siamo “leader del mercato X!”
  • o con l’ormai abuso del termine “oltre”: “Il nostro X è oltre un semplice X!”.

Quest’ultimo riferimento all’”oltre” mi è capitato di ritrovarlo anche riferito al gelato (“oltre al gelato”). Io penso: fai il gelato che è la cosa più semplice e buona, apprezzato da qualsiasi segmento target a prescindere da età ecc. proprio per la sua semplicità e genuinità, ma perché devi dire che vai “oltre” al gelato? Questa cosa di andare “oltre” è andata oltre! 

A prescindere dall’applicazione al gelato, nella maggior parte dei casi non viene poi spiegato in cosa e come il servizio “va oltre” il servizio stesso. Meglio spiegare e valorizzare il servizio, iniziare a tergiversare già mentre lo si presenta non sembra una buona idea, eppure vedo che continua ad andare molto di moda nelle pubblicità dei servizi più vari. Mi sono allora fatto l’idea che questi slogan siano un tentativo di comunicare il fatto che ciò che si vuole vendere – o che i consulenti ti dicono di dover vendere – non è solo il prodotto ma un’esperienza…Ok, è sicuramente un approccio comunicativo applicabile a molti prodotti, ma meglio allora provare a descrivere in cosa questa esperienza legata al prodotto consiste, se non altro avrete più possibilità di distinguervi visto in quanti già ricorrono alla formula “oltre il prodotto X” che a prescindere dal prodotto sta diventando trita e ritrita. No?

  1. La vita è fatta di scelte e compromessi, anche quella dei marketer, quindi questo secondo criterio, che bilancia il primo per evitarne la degenarazione in slogan in comprensibili, consiste nel cercare di essere originali ma senza essere troppo ricercati e pretenziosi.Rupaul'Sdragrace Spillin'Thetea GIF by Billboard

Il rischio di autocompiacersi con slogan che comprendete solo voi è sempre dietro l’angolo. Anch’io stavo incorrendo in questo rischio quando ho fatto la mia proposta per il payoff di Growth Agents. Una volta scelto il nome Growth Agents l’identità agentesca iniziava a esaltarmi, del resto il mio personaggio cinematografico preferito è James Bond. Ho quindi iniziato a calarmi nella parte e ho allora proposto come slogan per Growth Agents la frase “Licence to Grow” per richiamare a “Licence to kill”, titolo di uno dei film più celebri di 007. Mi è stato fatto notare che non sarebbe stato abbastanza chiaro il riferimento e in effetti sebbene James Bond sia conosciuto dalla maggior parte delle persone, “Licence to kill” è solo uno dei titoli che solo gli estimatori riuscirebbero ad associare in modo immediato.

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  1. Comunicare la unique value proposition.

Non è certo facile condensarla in uno slogan ma impegnarsi a farlo può portare a delle opzioni di payoff in grado di richiamarla. Riprendendo l’esempio di Fineco, ha indubbiamento puntato sulla semplificazione come unique value proposition e presentandosi come “La banca che semplifica la banca” ha saputo sicuramente concentrare in una frase come vuole distinguersi dalle altre banche risolvendone una delle caratteristiche comuni, o comunque comunemente associate alle banche, ossia la difficoltà a comprenderle i servizi e accedervi in tempi rapidi in modo semplice.

  1. Specificare a chi state parlando.

Se siete una startup, è fondamentale non solo riuscire a veicolare la value proposition in modo efficace, ma anche centrare il target a cui si riferisce: rispetto a un’azienda già affermata avete poco tempo e risorse per farlo ed è quindi cruciale calibrare da subito il tiro della vostra comunicazione. Il modo più semplice per rendere evidente a chi si rivolge la vostra value proposition è menzionare il vostro target nel vostro slogan/heroshot della landing page che presenta il vostro servizio. Seguendo questo criterio lo slogan assumerebbe la seguente formula: “Pinkopallino: il pallino per gli amanti dei pallini rosa”.

  1. Adottare un approccio difensivo anziché propositivo a volte può essere strategico.

Spiego meglio a che approccio mi riferisco con l’esempio di Tinder che – probabilmente realizzando che il pregiudizio principale che frenava le persone dall’usare l’applicazione era che fosse un modo virtuale e squallido per fare nuovi incontri – ha spiegato nel payoff che in verità Tinder funziona proprio come la vita reale ma migliorandola. Effettivamente nella realtà quando incontri un ragazzo/ragazza la trovi più o meno attraente d’aspetto e valuti se approfondire con un appuntamento, su Tinder avviene virtualmente in modo analogo con la differenza che moltiplica le opportunità di incontrare nuove persone per il fatto proprio di non essere fisicamente limitato al numero di incontri che può avvenire in una giornata offline. Può piacere o meno l’idea ma secondo me l’hanno comunicata in modo efficace.

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  1. Completare il significato del nome.

Se avete scelto un nome che contiene/anticipa la funzione del vostro servizio provate a completarne il senso nello slogan. È quello che per esempio abbiamo cercato di fare con un Saas che aiuta a passare dalla teoria all’azione del Growth Hacking e che per questo abbiamo chiamato Hacktion usando come payoff “Turn your digital actions into hacks to grow”. Questo slogan presuppone che il pubblico al quale si riferisce sappia cosa sia il growth hacking altrimenti il riferimento al termine “hack” potrebbe essere incompreso/frainteso. Abbiamo quindi deciso di usarlo solo nelle campagne il cui targeting sarà ottimizzato per far comparire i contenuti solo a un pubblico di professionisti del digitali che hanno interesse per il growth hacking, mentre per altri target abbiamo optato per payoff e headline della landing di atterraggio differenti e composti ad hoc per risultare più comprensibili e interessanti anche per quei segmenti di pubblico che pur non essendo growth hacker di professione possono trovare utile il tool che proponiamo.

Anche se il payoff, diversamente dal nome del brand, non è una scelta definitiva e può variare a seconda del contesto o della fase in cui ci si trova, non va visto come un elemento da scegliere in modo approssimativo proprio perché offre la possibilità di vestire il vostro marchio dell’abito più indicato per fare colpo in determinate occasioni.

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