Premessa.
Il Growth Hacking è sempre più noto, ma anche spesso frainteso come una combinazione di trucchetti in grado di soddisfare l’ormai bisogno primario del marketing odierno: “dobbiamo fare qualcosa di virale!”…
Il Growth Hacking viene così inteso come una formula non meglio specificata in grado di portare alla crescita esponenziale degli utenti di servizi online.
L’acquisizione di nuovi utenti è solo una fase, seppur fondamentale, del funnel che contraddistingue la metodologia Growth Hacking, ma prima di addentrarsi nel funnel AARRR è utile fare un passo indietro, o meglio cambiare livello.
Il Growth Hacking prevede infatti diversi livelli di organizzazione e flussi di lavoro . Non ci sono formule magiche, ma tecniche e processi derivati da un metodo che cerca di rendere quanto più scientifico possibile il marketing e lo sviluppo di prodotti digitali. Per “scientifico” si intende empirico-iterativo, e non magicamente foriero di formule infallibili. Al contrario, l’iterazione consiste in un continuo testing di soluzioni che passando attraverso l’apprendimento da esperimenti ed errori conduce a un progressivo affinamento delle azioni di marketing e parallelamente all’adattamento delle funzioni del prodotto alle esigenze degli utenti, per raggiungere la cosiddetta fase di product market fit. In altre parole più fighe il Growth Hacking è data-driven.
Processi data-driven: come accendere la Growth Machine.
L’orientamento tramite i dati avviene come detto a più livelli ed i processi sono differenti in ogni startup, come osserva Ryan Holiday in un suo libro: “As I interviewed and read about the dozens of growth hackers whose many insights […] I noticed that each one had used an almost entirely different set of tactics than the others. Some had relied on viral features; others leaned more heavily on product and optimization. Some were expert e-mail marketers, while others knew how to use platforms and APIs to reach equally large amounts of people”.
C’è però un processo applicabile ad ogni progetto – che si tratti di una startup, di un lancio di un nuovo prodotto/servizio o dello sviluppo di un’area di business di un’azienda strutturata – per iniziare ad applicare l’approccio Growth Hacking e predisporre la vostra Growth Machine.
Tale processo di trova ad un livello di project management che prevede la pianificazione di 6 step condivisi da un team (che nelle tech company americane iniziano a chiamare “Growth Team”) che si riunisce in modo ricorrente (Growth Meetings) per confrontarsi sugli obiettivi/risultati di crescita dell’azienda. Si parte quindi da come misurare tale crescita individuando obiettivi ai quali associare metriche che concorrano alla cosiddetta One Metric That Matters (OMTM), ossia il valore di crescita che più conta per il vostro business in una determinata fase.
Ingranaggio 1: KPI/OMTM. Individuare gli obiettivi.
Prendere dimestichezza con il framework OKR potrebbe tornarvi davvero utile per settare il tracciamento degli obiettivi (Objectives) e dei risultati raggiunti (Key Results).
Iniziate con l’indicare una proposizione qualitativa che rappresenti l’obiettivo principale, prendetevi un arco temporale compreso tra 30 e 90 giorni e individuate tre risultati chiave da conseguire che siano misurabili in modo quantitativo. Ordinateli poi in base al livello di difficoltà, come nell’esempio:
- KR1: measurable Goal 1 (Hit 90% of the time)
- KR2: measurable Goal 1 (Hit 50% of the time)
- KR3: measurable Goal 1 (Hit 10% of the time)
Il numero degli obiettivi può variare a seconda anche della quantità di esperimenti settimanali/bisettimanali previsti (a breve tratteremo questo aspetto riguardante la sperimentazione approfondendo l’High Tempo Testing elaborato da Sean Ellis).
Impostati gli obiettivi, si entra nel processo vero e proprio che assume la seguente forma ciclica.
Ingranaggio 2: Brainstorm. Ideazione, non improvvisazione.
La generazione di idee è un processo creativo che eppure può essere ordinato, nonostante suoni strano. In altre parole, la fase di brainstorming non è da intendere come limitata a “buttare giù delle idee” ma si articola in tre momenti principali.
Il primo è l’osservazione, da rivolgere non solo internamente al proprio business ma anche al proprio mercato, includendo il comportamento di utenti in target così come i competitor e comparable. Da questi ultimi si può sempre trarre ispirazione per trovare best practice replicabili, oppure cogliere nuove opportunità per distinguersi con soluzioni non ancora adottate: in entrambi i casi è pur sempre dall’osservazione dell’esistente che si possono generare nuove idee.
Il secondo momento è “interrogatorio”: più le domande riescono ad ampliare e approfondire l’analisi, maggiore sarà la conoscenza apportata al brainstorming in fase di risposta.
Infine l’associazione di idee va a ricomporre il frammentato quadro creato da osservazioni e interrogativi per indirizzarlo verso soluzioni da testare. Arriva quindi il momento di selezionarle e programmarle.
Ingranaggio 3: Prioritizzazione. I tre parametri.
Per programmare gli esperimenti in ordine di priorità si ricorre a tre parametri:
- Probabilità di successo;
- Impatto in caso di successo;
- Risorse necessarie per l’implementazione.
Approfondiremo nel dettaglio l’argomento della prioritizzazione data-driven delle attività in un post dedicato.
Ingranaggio 4: Sperimentazione.
Un esperimento, in quanto tale, non dev’essere dispendioso. Per questo ha senso prevederlo inizialmente come un “minimum viable test”, ossia un test da realizzare con il minor costo possibile e nel contempo in grado di generare risultati significativi. Il valore dell’esperimento include l’apprendimento anche in caso di fallimento, pertanto è importante che venga descritto in un documento che riporti le ipotesi e i risultati ottenuti.
Ingranaggio 5: Analisi.
A conclusione dell’esperimento è prevista l’analisi dei risultati che deve essere focalizzata su tre aspetti principali:
- Impatto dell’esperimento, ossia i dati registrati;
- Accuratezza: quanto il risultato si discosta dalle ipotesi;
- “The reason why”: la ricerca delle relazioni di causa-effetto per comprendere quanto accaduto e fare nuove ipotesi e previsioni.
Ingranaggio 6: Sistematizzazione.
La replicabilità di un esperimento è molto importante per alimentare in modo continuo la growth machine: quanto più un esperimento è riproducibile tanto più impatterà nel tempo sul marketing mix/sviluppo del prodotto portando maggiori benefici rispetto ad un esperimento one shot (che in alcuni casi può comunque avere una sua funzione circoscritta ad un momento/problema/obiettivo…).
Se l’implementazione dell’esperimento può poi essere automatizzata, allora si tratta di un esperimento che diventerà costantemente “trainante” per la Growth Machine. A proposito, esiste un framework che accompagna alla definizione della propria “Traction Strategy”, ma di questo ne parleremo al prossimo post (per non perdertelo registrati qui sotto alla nostra newsletter).